Betty Giuliani – Reflections

Incerta l’uscita del film di Daniele Segre: “Nasce da una profonda indignazione per il tempo in cui vivo. è un grave atto d’accusa”

Dopo la prima nazionale alla Casa del Cinema di Roma chissà se il nuovo film di Daniele Segre Mitraglia e il verme riuscirà ad approdare nelle sale. Se lo augura l’autore presentando questa sua ennesima pellicola indipendente, girata in soli sette giorni in digitale, a bassissimo costo, senza alcun aiuto pubblico, un unico piano sequenza a camera fissa, due soli, ottimi interpreti, Antonello Fassari e Stefano Corsi. Passato in concorso al XXIII Bergamo Film Meeting il film è ambientato nel cesso pubblico di un ortomercato dove Mitraglia, responsabile delle contrattazioni coi grossisti, affetto da calcoli renali, si precipita tra una colica e l’altra. Il Verme è il visionario e solitario guardiano della latrina che sogna vincite risolutrici all’ippodromo e si lapida coi sensi di colpa dopo aver scommesso e perso fino all’ultimo spicciolo. Quando scoprirà che il suo amico Mitraglia vuol licenziarlo metterà in scena il proprio funerale. In poco più di un’ora e un quarto densi di drammatico humor e irriverente ironia Segre punta la macchina da presa sul destino dei nuovi poveri coi loro sogni ai margini del mondo globalizzato. Un atto grave di denuncia che, spiega Segre, nasce dalla profonda indignazione per il tempo in cui viviamo, per la totale latitanza delle istituzioni. Ha scritto la sceneggiatura con Fassari, Corsi e il suo giovane allievo del centro sperimentale Antonio Manca, hanno provato giorni, non mesi, nello scantinato di un amico di Stefano e poi affittato per una settimana un capannone per le riprese, che avvenivano solo a notte fonda perché mancava l’insonorizzazione. Lì ha preso vita lo squallido pisciatoio mobile, sfogo del povero Mitraglia, «Uno che non è più in grado di sognare – spiega Segre – per colpa di un tempo carico di degrado, in cui i sogni sono un lusso per chi non ha un futuro». «Il personaggio è nato a casa di Stefano – racconta Fassari che soffre davvero di calcoli renali da ben undici anni -. Daniele vedendomi andare in bagno di continuo esclamò: che bel soggetto! Il suo modo di scrivere è unico, si fa laboratorio, come una volta, improvvisando, ma con certi paletti. Eravamo gonfi di cose che non si riescono più a dire, a fare, a recitare. è stata una ‘vomitata’ generale, ci si possono vedere metafore contemporanee in questo ‘sguazzare nel piscio’».

In cinque giorni di prove filmate hanno scritto tutte le battute. «La macchina era fissa – continua Fassari -, noi ci siamo fatti da soli zoom e carrello. L’impianto con questi personaggi beckettiani è fortemente teatrale, ma molto cinematografico». «Il rischio era cadere nella fiction più banale col linguaggio – spiega Segre -, la macchina fissa ha aperto una nuova fase. Non potevo sprecare soldi, ne avevo già pochi». Per i due protagonisti ha scelto attori teatrali di formazione ronconiana perché “rigorosi, con basi solide per reggere i miei ritmi”. La storia l’ha vista in bianco e nero: «Ma se la tv la vuol comprare – dice ironico -, c’è la versione a colori». Proprio quella tv che Segre paragona a un padre-padrone che, in un clima di oligarchia, fa impallidire il cinema e rende difficile il percorso dei film verso le sale: «Non c’è un’industria cinematografica e dunque non c’è sperimentazione, il problema è davvero complesso, è un miracolo che siamo riusciti a realizzare questo lavoro ma non sono troppo ottimista che approdi nei cinema, oggi è un problema grosso se non hai una tua casa di distribuzione e non hai sale». E poi un film senza pellicola istituzionalmente non esiste. «Se giri in digitale – spiega il regista – non puoi concorrere ai premi ministeriali, spero che qualche legislatore attento prenda in considerazione queste opere. Certo se mi chiamassi Segrosky – ironizza – sarei già una star, i miei film già in Dvd, mi farebbero diventare pure commerciale. Sono trent’anni che faccio questo mestiere ma riesco ad avere visibilità sono tra festival, cineclub e cineforum, vorrei poter avere un sostegno pubblico. In fondo produco una piccola economia, se il ministero mi riconosce si produrrebbe altra economia. Vorrei il diritto di cittadinanza come tanti extracomunitari, in fondo non chiedo molto».